UNA LUNGA STORIA GEOLOGICA
Tra le città sorte lungo la via Emilia, Bologna è quella ad
avere il legame più stretto con le colline: i rosseggianti edifici del
centro si fondono con i versanti ripidi ricoperti da densi boschi, che in breve
raggiungono i 200 m di quota, creando uno scenario dai suggestivi contrasti.
Viaggiando verso sud, non possono sfuggire nel paesaggio gli affioramenti rocciosi,
spesso dai colori diversi, che rivelano una complessa ossatura geologica. Proprio
da questa "diversità geologica" trae origine il ricco mosaico
di ambienti, di grande interesse naturalistico, che compone il quadro di questo
territorio collinare.
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Studiando le rocce delle colline bolognesi è possibile ripercorrere gran parte dell'evoluzione dell'Appennino; una storia lunga centinaia di milioni di anni, le cui tracce più antiche sono custodite nelle scure argille, spesso variegate, che si possono ammirare in numerosi calanchi. Osservando da vicino queste rocce si può apprezzare la tendenza a suddividersi in piccole e lucide scaglie, per l'intensa deformazione subita; per questo ultimo attributo il geologo Bianconi, nel 1840, le battezzò "Argille Scagliose". Spesso, queste argille inglobano frammenti di rocce diverse per età e composizione, tra cui spiccano blocchi bianchi e tenaci di calcari, lembi nastriformi di marne bianche, arenarie di colore bruno e talvolta anche frammenti delle scure e pesanti rocce ofiolitiche (resti di antichi fondali oceanici di natura magmatica e metamorfica). |
Questo curiosa mescolanza di rocce spesso si presenta senza alcun ordine stratigrafico, tanto che le ricostruzioni delle vicende avvenute dopo la loro formazione hanno rappresentato, per molto tempo e in parte ancora oggi, un vero e proprio rompicapo. Attualmente l'origine di questi complessi rocciosi è inquadrata nelle ricostruzioni ispirate alla Teoria della Tettonica a Zolle, ipotizzando l'esistenza di un oceano apertosi tra Europa e Africa a partire dal Giurassico medio (circa 180 milioni di anni fa). Sui fondali di questo braccio oceanico, che i geologi hanno chiamato Oceano Ligure per la presunta posizione paleogeografica in corrispondenza dell'attuale mar Ligure, si formarono parte delle rocce che si osservano, mescolate tra loro, nelle Argille Scagliose; queste rocce, proprio per il loro luogo d'origine, sono chiamate Unità Liguri o Liguridi.
Nelle successive tappe evolutive, questo oceano subì i movimenti di avvicinamento di Europa e Africa, che ne causarono il progressivo restringimento e la definitiva chiusura (Eocene medio, circa 45 MA). In queste fasi compressive le rocce dei fondali oceanici vennero sospinte in avanti per molte decine di chilometri, da ovest verso est, subendo intense deformazioni e acquisendo un assetto completamente stravolto rispetto a quello originario.
Tutte le rocce dell'Appennino che si sono formate a partire dall'Eocene medio (cioè durante l'orogenesi appenninica) rappresentano depositi contemporanei alla deformazione e quindi registrano, al loro interno, i vari mutamenti tettonici e le oscillazioni del livello marino, permettendo, attraverso il loro studio, la lettura dell'evoluzione del paleo-appennino.
Per un lungo arco di tempo, le Unità Liguri, già deformate, sono rimaste sotto il livello e mare, costituendo il substrato per nuovi sedimenti. Si sono così depositate le formazioni rocciose che, proprio per la loro posizione stratigrafica a cavallo delle Unità Liguri, vengono indicate come "Epiliguri". Gli effetti di questa sedimentazione sono facilmente apprezzabili in campagna; è infatti frequente osservare sopra i pendii spesso poco acclivi di argille delle Unità Liguri, rilievi dalle forme pronunciate, formati da rocce più resistenti, come ad esempio nei dintorni di Paderno e Sabbiuno. Questi bacini marini avevano una morfologia piuttosto accidentata ed erano allungati secondo l'asse della catena embrionale; pertanto uno degli aspetti tipici di questa successione è la rapida variazione di geometria, spessore e granulometria dei corpi sedimentari, espressione delle rapide variazioni degli ambienti deposizionali.
In particolare, dopo un'iniziale deposizione di frane sottomarine, si riversarono in questi bacini grossi volumi di detriti dovuti allo smantellamento per erosione della paleo-catena Alpi-Appennino, trasportati da correnti di torbida e da frane sottomarine. Le correnti di torbida sono correnti ad alta densità originate dalla messa in sospensione di grossi volumi di sedimento da parte di eventi catastrofici. Piene fluviali, tempeste, frane o terremoti possono rimuovere grandi quantità di sedimenti accumulati sui margini dei bacini. Queste correnti di fango e detriti, una volta innescate, si muovono sott'acqua lungo i pendii naturali del bacino anche per decine e centinaia di chilometri e, quando perdono energia, depositano gradualmente il carico di sedimenti. Ogni strato torbiditico rappresenta il prodotto di questo processo di trasporto e sedimentazione; si presenta generalmente gradato e costituito da una coppia di materiale grossolano alla base, di solito arenite (sabbia cementata), e più fine verso l'alto, solitamente pelite (limo e argilla). E' così che si sono deposte le Arenarie di Loiano. In questo settore però, alla fine dell'Eocene medio (circa 40 MA) questa deposizione grossolana diminuisce e continua la deposizione di sedimenti fini (Marne di M. Piano, Marne di Antognola, Formazione di Contignaco) fino alla fine del Miocene inferiore (circa 17 MA); in questo periodo i corpi rocciosi grossolani e spessi, di origine torbiditica, diventano sporadici mentre sono diffusi i depositi di detrito di origine vulcanica contemporanea e i depositi caotici (mélanges) originati da frane sottomarine staccatesi dai margini dei bacini, a testimonianza dell'instabilità dovuta all'orogenesi in corso. Intanto, i fondali diventavano sempre meno profondi fino a divenire ambienti di mare basso, in cui si sedimentarono soprattutto arenarie, spesso ricche di resti di conchiglie a testimonianza della scarsa profondità (Formazione di Pantano). Successivamente, nel Miocene medio e superiore (da circa 15 a circa 7 MA), i bacini epiliguri subirono un nuovo approndimento, testimoniato dalle marne e dalle arenarie risedimentate da correnti di torbida della Formazione di Cigarello e delle Marne del Termina.
Nelle colline a ridosso della città, tra Gaibola e M. Donato e, più a est, alla Croara, al Farneto e a Castel de' Britti, si trovano estesi lembi di gesso, una peculiare roccia formata da un solo minerale, la cui struttura cristallina conferisce alle aree di affioramento un fascino del tutto particolare. Per il suo aspetto rilucente questa varietà di gesso, formata da grandi cristalli, è nota anche come selenite (dal greco selene , luna). Il gesso, che chimicamente è un sale (solfato di calcio biidrato, CaSO4.2H2O), deve la sua genesi all'evaporazione di acqua marina e rientra nel gruppo delle rocce sedimentarie evaporitiche, dette anche evaporiti. I gessi bolognesi sono tra le testimonianze di uno degli eventi più straordinari della storia geologica del nostro pianeta, la "crisi di salinità" che ha colpito l'intero Mar Mediterraneo durante il Messiniano medio (tra 6 e 5,5 MA). In questo periodo quasi tutto il Mediterraneo si era trasformato in una gigantesca salina, dove si sedimentarono diverse centinaia di metri di evaporiti (tra cui anche salgemma). |
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Nel Messiniano superiore (fine del Miocene), dopo circa 600.000 anni di isolamento, la comunicazione tra Oceano Atlantico e Mediterraneo si ristabilì pienamente, portando al repentino annegamento dei depositi evaporitici sotto un maggiore spessore d'acqua. Sopra i gessi bolognesi si depositarono così argille e sabbie con intercalazioni di livelli ciottolosi (Formazione e Colombacci) e quindi argille di mare relativamente più profondo.
All'inizio del Pliocene (circa 5,3 MA) anche se la catena appenninica era già in parte emersa, il quadro geografico dell'alta fascia collinare bolognese era ancora molto diverso da quello attuale. La pianura padana corrispondeva ad un ambiente di mare aperto e profondo. Nel settore compreso tra gli attuali corsi dei fiumi Reno e Idice la linea di costa perdeva il suo carattere uniforme e rettilineo, addentrandosi verso le montagne e disegnando un golfo (bacino intraappenninico) alla cui estremità meridionale sfociavano gli antichi corsi dei torrenti Reno, Setta, Savena, Zena, Idice. La rete idrografica mostrava caratteristiche simili a quelle attuali: i corsi d'acqua erano impostati secondo una direzione SSO-NNE ed erano tra loro quasi paralleli; sfociavano in questo golfo scaricandovi la parte più grossolana del carico trasportato, essenzialmente ghiaiosa, mentre il materiale più fine veniva portato al largo. Il riempimento di questo golfo (Successione Intrappenninica), la cui profondità era mantenuta dalla naturale subsdidenza (abbassamento dei fondali), si è protratto fino alla fine del Pliocene (circa 1,8 MA), ed è il risultato di due cicli trasgressivo-regressivi, cioè due fasi di avanzamento e ritiro del mare sopra le terre emerse. Queste fasi sono riconoscibili perché caratterizzate, a partire dal basso (depositi più antichi), da una sedimentazione che inizia in ambienti di scarsa profondità e prosegue con ambienti via via più profondi. La lenta trasgressione che marca l'inizio della prima fase di riempimento comincia con un'unità molto grossolana, costituita, lungo il margine meridionale, da conglomerati, che si osservano a Medelana, a Sasso Marconi, a Monterumici e in modo molto nitido nella cava che segna il versante destro del Savena, subito a valle delle gole di Scascoli.
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Col procedere della trasgressione, i sedimenti di mare basso vennero sommersi sempre più fino a trovarsi in un ambiente relativamente profondo, dove per lo più giungevano solo argille e limi. Tuttavia, in queste argille si intercalano, nelle aree più a sud, lenti di conglomerati che testimoniano la vicinanza delle terre emerse e delle foci fluviali; viceversa, verso nord, nelle aree lontane dalla costa (ad esempio nelle argille di Pieve del Pino e Sabbiuno), non vi è traccia di depositi grossolani e la presenza di alcuni fossili di organismi abitatori di mari aperti ha permesso di stimare l'originaria profondità tra 300 e 500 metri . La seconda fase di sedimentazione prese il via con il riempimento di antiche valli fluviali: ciò significa che, durante il ritiro del mare, avvenuto nel Pliocene medio (fase di regressione), i corsi d'acqua che scorrevano verso NE, erodevano i materiali argillosi depositatisi durante la precedente fase di sedimentazione, scavando in essi il profilo delle loro valli. La successiva fase di trasgressione ha portato il mare a sommergere le valli e a seppellirle sotto una copertura di nuovi sedimenti. |
Le testimonianze di queste valli fossili si osservano lungo la Valle del Savena, tra M. Adone e Livergnano, tra Badolo e M. Mario in Val Setta e in val di Zena, meglio se con l'aiuto di foto descrittive. Colmate le valli, la sedimentazione è proseguita in ambienti di spiaggia, ben fossilizzati nelle spettacolari pareti di arenaria del cosiddetto "contrafforte pliocenico", che si sviluppa tra M. Mario, Badolo, M. dei Frati e M. Adone, nella lunga rupe di Livergnano e nel M. delle Formiche (Formazione di M. Adone).
Lo stesso bacino intrappenninico è stato poi coinvolto nei movimenti e nei sollevamenti successivi. Si è stimato che i sedimenti più antichi del golfo, che risalgono al Pliocene inferiore, si siano formati circa 20 km a sud-ovest dell'attuale posizione e che i sedimenti dell'ultima fase, quelli che formano il contrafforte, si trovano oggi sollevati per una altezza di circa 700 metri .
All'esterno del fronte del paleo-Appennino, la sedimentazione pliocenica era prevalentemente costituita da argille e marne di mare aperto e relativamente profondo (Argille Azzurre Auctt.,) con intercalazioni di sabbie risedimentate da correnti di torbida. Questo tipo di ambiente e di sedimentazione sono continuati fino al Pleistocene inferiore, momento in cui è iniziata l'ultima importante fase di emersione della catena. Infatti, le rocce del Pleistocene inferiore testimoniano ambienti di sedimentazione sempre meno profondi fino ad arrivare, nel Pleistocene medio (circa 700 mila anni fa), a sabbie di mare basso, spiaggia e dune eoliche (Sabbie di Imola) assai simili a quelle che attualmente formano le spiagge adriatiche. Queste sabbie del Pleistocene medio bordano l'attuale margine appenninico, ricoprendo terreni di varia età a testimonianza del fatto che circa 700 mila anni fa la geografia dell'Appennino era pressoché uguale all'attuale. A partire da questo momento, infatti, inizia anche la sedimentazione fluviale che ha portato alla formazione della Pianura Padana.